Mozart – The Violin Concertos Giuliano Carmignola Claudio Abbado – Orchestra Mozart ARCHIV Produktion 2 cd – giu. 2008
Claudio Abbado, ormai da alcuni anni sciolto da obblighi orchestrali o da esigenze di programmazione, continua a regalare al suo pubblico piccoli e grandi gioielli interpretativi che colpiscono in primo luogo per l’apparente libertà esecutiva manifestata nelle recenti incisioni.
Uno di questi gioielli e’ sicuramente costituito dai concerti per violino di Mozart eseguiti da Abbado alla testa della prodigiosa Orchestra Mozart e dal violinista Giuliano Carmignola.
Premetto che essendo un fervido abbadiano, molto legato al percorso del maestro, non potrò certo offrire un’assoluta indipendenza di giudizio nel discutere una sua incisione.
Vorrei innanzitutto proporre una mia modesta digressione su quello che credo sia il punto dell’interpretazione mozartiana nei tempi più recenti. Tre sono le scuole interpretative che mi pare stiano avendo la maggiore nei teatri e nelle incisioni contemporanee che hanno come oggetto le composizioni del salisburghese:
La prima e’ l’interpretazione di un Mozart compositore dell’eta’ dell’oro classica, a suo modo olimpica, dalle linee precise e geometriche, un Mozart per certi versi asessuato che si fa pura linea e afflato cantabile, melodico ma poco scavato in profondità, le interpretazioni che mi sembrano più esemplari di questo filone sono quelle di Colin Davis, sebbene ormai relativamente datate, interpete dall’estrema pulizia e sobrieta’ sonora.
Una seconda chiave interpretativa e’ quella che vede in Mozart un autore preromantico, un anticipatore di quel discorso che Beethoven ampliera’ e fara’ esplodere di li a poco. Campione contemporaneo di questa interpretazione mi sembra essere, restando nel giardino di casa nostra, Riccardo Muti, che ricerca nel suo Mozart una tonalita’ beethoveniana ante litteram, l’uso della grande formazione orchestrale, I Wiener al gran completo, l’insistenza sugli ottoni che offrono una profondita’ della ricerca sonora a scapito talvolta dell agilita’, ai colori scuri dei fiati fanno da contraltare archi altrettanto scuri e privati della loro leggera rapidita’. Un altro direttore che va in questa direzione e’ James Levine le cui interpetazioni della 40 e della Jupiter sempre con i Wiener sembrano le fotocopie di quelle di Muti.
Una tendenza piuttosto nuova e degna di grande attenzione e’ invece quella che per cosi dire retrodata il gusto mozartiano facendone non il primo dei romantici ma piuttosto l’ultimo dei barocchi erede di una tradizione bachiana piu che haydniana. Interpreti principali, tutti a loro modo notevoli, sono Rene Jacobs, John Eliot Gardiner e Nicholaus Harnoncourt. L’utilizzo delle agilita’ e dei ritmi imprevedibili e rapidissimi di stampo barocco ne fanno quasi un seguito dei brandeburghesi. Gli ottoni e l’ utilizzo sostanziale degli strumenti d’ epoca ricavano sonorita’ vicine a quelle del XVII secolo accostando anche il Mozart lirico piu’ a un Monteverdi che a un Beethoven. Essendo, queste, tre grandi individualita’ direttoriali, poi sanno concretizzare in maniere radicalmente diverse questo punto di partenza comune, al dionisismo di Harnoncourt fanno da contraltare le galanterie di Gardiner e il gusto per la polifonia e i madrigali di Jacobs.
Venendo al disco di Abbado che fa seguito a una coerente collaborazione con l’Orchestra Mozart e che ha gia’ visto le incisioni della 33, della 35 della 38 e della jupiter, il primo aspetto che si impone e’ quello della continua ricerca dell’Abbado ultima maniera di un costante snellimento dell’assetto orchestrale (si vedano le storiche incisioni del ciclo sinfonico beethoveniano a Santa Cecilia) ridotto allo stretto indispensabile, una ricerca finalizzata all’ assenza di peso della partitura musicale, a un lavoro per sottrazione dove , a differenza dell’ arte di Karajan che intendeva fare dei Berliner “un sol uomo”, mira piuttosto a fare di una entita’ orchestrale un ensemble di solisti.
Mi viene naturale accostare questo gusto musicale dell’ artista maturo alle lezioni americane calviniane sulla leggerezza, la precisione, la velocita’, laddove mozart diviene un continuo pulsare di energia vitale con strutture musicali rispettate ma quasi svuotate di significato alla ricerca di un puro fluire del discorso musicale.
Sono pochi i direttori che saprei avvicinare a questo ideale della gioia e della liberta’ di fare musica: uno fra tutti e’ Ton Koopman, il cui Mozart da mare del Nord, dalle luci fredde e azzurre, dalle limpidita’ trasparenti e dalla nettezza delle nature morte fiamminghe, unite alla precisione di una lunga e onorevole frequentazione del Bach piu’ geometrico, ispirano una medesima immediatezza e liberta’ nell’offrire una lettura inedita di partiture ormai dai secoli consacrate.
Carmignola, da parte sua, si presta benissimo al gioco, interpete duttile ma non certo particolarmente originale o comunque non dotato di una individualita’ interpretativa immediatamente riconoscibile, si coniuga mirabilmente con le intenzioni del direttore, rispettandone il ritmo compulsivo e la dinamicita’ di fondo che vuole essere trasmessa dalla inedita lettura della partitura, privilegiando allegre luci vivaldiane a scuri sentori schumanniani o comunque di teutonica origine. Le chiarita’ di questo Mozart sono tutte da ricercare nei suoi soggiorni italiani, nel sole del Mediterraneo, nelle liriche di Holderlin e non nella severa metafisica tedesca, uno spirito se vogliamo autenticamente austriaco, cordiale, gioviale, giovanile e impertinente, l’ ennesima prova di come un direttore ultrasettantenne sappia ancora una volta rinnovare se stesso dialogando con una musica in maniera inedita e, solo apparentemente, ingenua, come se si trovasse per la prima volta a confrontarsi con essa.